Leggere Viaggio in Sardegna di Michela Murgia è come attraversare l’isola da dentro, seguendo non tanto le strade reali quanto le linee invisibili della memoria, del carattere e dei simboli.
I capitoli in cui viene suddiviso il testo sono delle parole-chiave scelte dall’autrice — pietra, fede, suoni, indipendenza — diventa una tappa di un percorso affettivo più che geografico, un modo per riscoprire la Sardegna come luogo dell’anima.
Alterità
Fin dalle prime pagine si avverte quanto l’identità sarda sia legata all’idea di diversità e unicità. Figure come il balente e il codice barbaricino incarnano un modo autonomo di intendere la giustizia e l’onore, lontano dalle leggi ufficiali. È una forma di alterità orgogliosa, che non accetta di essere omologata. Murgia ci invita a guardare questa diversità non come chiusura, ma come forza, come segno di una comunità che ha saputo difendere se stessa nei secoli.
Pietra
La pietra, in Sardegna, è ovunque: nelle case, nei nuraghi, nelle chiese romaniche. È la materia che racconta il tempo. È la bellezza delle coste granitiche scavate dagli elementi atmosferici che ci parlano attraverso le forme antropomorfe che noi ci vediamo.
Ogni blocco sembra conservare la memoria di chi è passato: i nuraghi di civiltà misteriose, Eleonora d’Arborea con la sua Carta de Logu, i Savoia e le chiudende che hanno cambiato il volto della campagna. Murgia fa parlare la pietra, e in quella voce c’è la storia di un popolo che si è sempre misurato con la durezza e la resistenza.
Arte
C’è malinconia quando l’autrice parla dell’arte tradizionale. L’arte dei tessuti, dei coltelli, dei mobili intagliati nasceva da mani lente, da gesti quotidiani. Oggi, dice Murgia, quella bellezza rischia di ridursi a souvenir. È il segno di un mondo che cambia, dove la creatività non è più legata alla necessità e alla pazienza, ma al consumo e al turismo. Conseguenza ne è la creazione in serie che ne snatura la bellezza e unicità.
Confini
La Sardegna è un’isola, e questo significa vivere sempre dentro un confine. Le coste, un tempo vulnerabili alle invasioni, oggi sono minacciate da un’altra forma di conquista: quella turistica. L’interno invece resta più autentico, quasi incontaminato. Murgia descrive miniere abbandonate, paesaggi di pastori, e cita il Decreto Salvacoste come tentativo di protezione. C’è un continuo oscillare tra apertura e difesa, tra desiderio di essere conosciuti e paura di essere travolti da un turismo che da salvezza può diventare rovina.
Fede
Il rapporto con la fede è un altro aspetto affascinante. In Sardegna cristianesimo e paganesimo convivono senza contraddirsi. Le processioni alle chiese di campagna e i carnevali con le loro maschere ancestrali sembrano riti che tengono insieme il cielo e la terra. La corsa a piedi nudi da Cabras a San Salvatore è un gesto che sa di sacrificio ma anche di appartenenza, come se la fede fosse una forma di identità più che di religione.
Suoni
Murgia dedica pagine intense ai suoni della Sardegna. Gli strumenti come le launeddas o lo skorriu sono parte di un mondo antico, dove la musica aveva anche una funzione magica o difensiva. Poi c’è la musica moderna, come il jazz di Paolo Fresu, che dimostra come l’anima sarda sappia reinventarsi senza perdere le radici. Leggendo queste pagine, si ha l’impressione che ogni luogo dell’isola abbia un suo ritmo, una sua voce.
Indipendenza
Forse il tema più profondo del libro è quello dell’indipendenza. Murgia denuncia una storia scritta da altri; dai Savoia, dai colonizzatori che hanno cercato di cancellare la peculiarità dei sardi, che preferivano far credere che i sardi di non avevano una loro peculiarità etnica ma discendevano da Fenici, Punici, Mauri. Ma l’isola continua a sentirsi unica, irriducibile. L’ ultima baronia è il Regno Sabaudo di Sardegna e l’ultimo privilegio feudale si protrae fino alla scomparsa di Don Efisio Carta, ultimo barone del feudalesimo sardo che estendeva la sua proprietà sullo stagno di Cabras e la zona dell’odierna area naturalistica di Seu. Sebbene scritte indipendentiste si notino su muri e cartelli, oggi a differenza degli anni ‘80 e precedenti, non ci sono più organizzazioni o movimenti organizzati in tal senso. Anche l’episodio della Maddalena, liberata dalle basi americane ma orfana del loro reddito, racconta questa contraddizione: la libertà ha sempre un prezzo. Alla fine, la Sardegna resta fedele a se stessa; uno dei mari più belli del mondo non ha bisogno di riciclarsi con altro se non provvedere alla propria tutela ambientale. L’autrice parla della festa del 28 aprile, che celebra la cacciata dei piemontesi, e di un sentimento indipendentista che non è più politico, ma emotivo. Per un sardo, studiare la sua storia è studiare il susseguirsi di invasori sulla sua terra. Pertanto anarchici e indipendentisti sono presenti fino ai giorni nostri e la festa della Sardegna il 28 aprile celebra la cacciata dei piemontesi, che a Cagliari ricordano con una rievocazione in costume.
Cibo
Il cibo è parte di questa identità: formaggi, bottarga, carne, pane e olio non sono solo alimenti, ma simboli di una cultura del necessario. In ogni sapore c’è una storia, una fatica, un legame con la terra.
Acqua
Da sempre l’acqua è preziosa e si invocano dei cristiani e pagani per ottenerla. Nella zona di Villacidro ci sono ben tre cascate e il lago Omodeo è stato il primo lago artificiale sardo, che ha occupato una valle fertile e un paese Zuri, con la sua preziosa chiesa lombarda di San Pietro, in trachite rossa. Ogni luogo è un microcosmo, un equilibrio fragile tra natura e intervento umano, come le zone umide tra il Sinis e il Sulcis, preservate perché saline di stato e adesso rotte di uccelli migratori. Arborea è stata bonificata e risanata dalla malaria, lo stagno di Molentargius presso Cagliari è adesso zona di protezione totale dove nidificano i fenicotteri e passano rari uccelli migratori. Da citare le acque termali di Benetutti, di Fordongianus famoso per i molti ritrovamenti archeologici e per le terme romane, di Sardara sull’arteria da Cagliari a Oristano, molto più facile da raggiungere.
Narrazioni
Tra gli scrittori sardi, Murgia cita Grazia Deledda, spesso accusata di aver mostrato un volto duro della Sardegna. Eppure, dice implicitamente l’autrice, non c’è amore più profondo di quello che osa guardare anche le ombre. Le narrazioni servono proprio a questo: a restituire complessità a una terra troppo spesso ridotta a cartolina.
Femminilità
Infine, c’è la figura femminile, che attraversa tutto il libro come una presenza costante. Le madri, le sante, le donne di potere come Eleonora d’Arborea, fino alla stessa Murgia, rappresentano una Sardegna materna e battagliera. La Carta de Logu, scritta nel Trecento, diventa simbolo di una cultura che, pur antica, è sorprendentemente moderna. La femminilità, in quest’isola, è una forza civile, un modo di custodire la vita e la libertà.
Leggendo Viaggio in Sardegna, si ha l’impressione che Michela Murgia non descriva un luogo, ma un’appartenenza. Il suo viaggio non è turistico, ma identitario: è il percorso di chi ama una terra non perché è perfetta, ma perché la riconosce come propria.
È una lettura che ci spinge a scoprire i luoghi veri della Sardegna, lontani dai percorsi turistici, che ci parlano di storia, popolazioni e archeologia, che mantiene stretti segreti non ancora svelati.
È una lettura che mi ha fatta innamorare di siti archeologici fuori dalle rotte costiere, che mi ha fatto scoprire siti termali di una certa importanza e che mi ha fatto conoscere i nomi di tanti scrittori sardi che meritano di essere scoperti.