Pubblicato per la prima volta nel 1903, Cenere è uno di quei romanzi che sorprende per la sua intensità emotiva, la delicatezza poetica e l’attualità inquietante che ancora oggi riesce a trasmettere. A firmarlo è Grazia Deledda, la prima e unica donna italiana ad aver vinto il Premio Nobel per la Letteratura (1926, conferito nel ’27), autrice capace di scolpire l’animo umano con le parole.
Ambientato nell’entroterra sardo, in una Barbagia isolata e selvaggia, il romanzo ci porta tra le montagne della provincia di Nuoro, in un mondo ruvido e autentico, profondamente radicato nella natura e nelle tradizioni. È qui che si muovono Olì e Anania, madre e figlio, travolti da un destino che sembra scritto fin dalla nascita.
Il cuore della trama
La storia di Cenere si sviluppa tra paesaggi aspri e silenzi che parlano. Deledda costruisce intorno ai suoi protagonisti una rete di sentimenti profondi, codici morali arcaici e dinamiche sociali implacabili. Il figlio, Anania, tenta una faticosa ascesa sociale, ma il passato della madre — che per il suo bene lo ha dovuto abbandonare — lo richiama a sé con la forza inesorabile del destino.
In questo mondo non esiste redenzione facile: ogni gesto, ogni scelta, porta con sé il peso della colpa, il tormento della coscienza e la consapevolezza della fatalità.
Una voce femminile, un’etica arcaica
Tra i temi centrali del romanzo troviamo l’etica patriarcale e il codice d’onore barbaricino, osservati con uno sguardo lucido ma mai giudicante. Deledda racconta un mondo regolato da leggi non scritte, dove l’individuo è spesso travolto da forze più grandi: la sorte, il peccato, l’espiazione.
Eppure, c’è in tutto questo una modernità sconcertante: nelle relazioni che esplodono e si consumano, nei legami segnati dal silenzio, dalla vergogna, dall’impossibilità di salvarsi. Storie che oggi potremmo trovare, mutate solo nella forma, nelle cronache o nei drammi personali del nostro presente.
Una lingua conquistata
Deledda non fu solo una narratrice magistrale, ma anche una pioniera nella sua lotta personale con la lingua. Sardofona, autodidatta, ha affrontato il difficile passaggio dal sardo all’italiano, riuscendo a trasformare quella frizione linguistica in un elemento di stile unico. Il suo italiano è intriso di suoni, ritmi e immagini che arrivano direttamente dalla sua terra. Non solo le opere contengono riferimenti continui alla lingua dei pastori, ma lei stessa a distanza di anni non riuscì mai a staccarsi dai suoni della lingua sarda.
Una Sardegna mitica, fuori dal tempo
Nei romanzi della Deledda la Sardegna è sempre presente: è archetipo, luogo dell’anima, spazio sacro e senza tempo. La Barbagia diventa simbolo universale dell’esistenza umana, della sua lotta eterna tra bene e male, tra impulso e dovere, tra predestinazione e libero arbitrio. Da questi luoghi e dagli anziani che li abitavano Deledda ha appreso verità universali che noi ancora comprendiamo a distanza di un secolo.
Chi dovrebbe leggere Cenere
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Cenere è un romanzo per chi ama i drammi familiari, le storie dove il passato non smette di parlare.
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È per chi cerca nei libri domande profonde sull’identità, la colpa, il destino.
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È per chi vuole scoprire una scrittura fortemente visiva, dove il paesaggio naturale si fonde con quello interiore.
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Ed è, infine, per chi ha voglia di conoscere una delle più grandi scrittrici italiane, spesso trascurata, ma dalla potenza narrativa immensa.
Ne abbiamo parlato anche nel nostro Gruppo di Lettura #paesichevaidonnechetrovi e abbiamo capito che Deledda, con la sua scrittura piena di ombre e luce, ci parla ancora oggi.
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